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25 luglio 2013 4 25 /07 /luglio /2013 09:42

 

 

La mia banale esistenza si è articolata monotonamente, nel corso degli anni, senza annoverare particolari eventi veramente significativi, ossia quelle particolari esperienze che ti “segnano” o che ti coinvolgono emotivamente sino al punto di cambiarti radicalmente la vita. Escludendo la prima parte del mio percorso umano, l’infanzia, della quale, ad esser sincera, ho un ricordo alquanto sfocato e labile, posso ritenere di affermare che l’adolescenza e la gioventù le ho trascorse dedicandomi allo studio scolastico  ed alla progettazione del mio futuro, seguendo i consigli  dispensati dai genitori o dagli adulti in genere. Non ho assunto alcool, droghe, non ho mai creato problemi ai miei  familiari e di ciò non posso che andarne orgogliosa. Niente da eccepire sul comportamento etico.

Ma i sentimenti, le emozioni, le passioni ? Mi chiedo spesso dove fossero relegate in quel periodo. Molto probabilmente sigillate in un forziere recondito della mente, pronte ad uscire al momento opportuno, che, tuttavia,  fino ad allora non aveva avuto ancora modo di presentarsi.

Dopo il conseguimento del diploma e l’ingresso nel mondo del lavoro, la prima forte emozione che ricordo ancora vivida è il giorno del mio matrimonio, abbastanza fastoso per le mia modesta condizione sociale; mi sentivo veramente felice, seriamente convinta di aver conseguito uno degli obiettivi fondamentali della vita.  Non meno importante, anche se seconda in ordine cronologico, e significativa è stata l’esperienza della maternità, che coinvolge notevolmente a livello emotivo ed affettivo, credo,  qualsiasi donna che rientri nella “normalità”. Nella mia scala di valori ho sempre dato la precedenza all’amore verso la famiglia, rinunciando spesso a scelte decisive ed importanti inerenti alla mia carriera professionale, e francamente devo confessare che non ho rimpianti per le decisioni assunte nel passato, anche se ho dovuto rinunciare a cercare di realizzare molti sogni.

La mia vita ha cominciato a cambiare il giorno in cui abbiamo deciso di comprare una particella di terreno nelle campagne limitrofe alla città, con l’obiettivo primario di avere uno spazio a disposizione dove portare a giocare nostro figlio, il quale a quei tempi frequentava la scuola materna, in compagnia dei propri coetanei. Abitando in un appartamento al quarto piano, in città la possibilità di giochi all’aperto per il bambino era limitata alle rare uscite al piccolo parco giochi del quartiere.

Inizialmente l’obiettivo primario dell’intera famiglia è stato quello di rendere gradevole, il più possibile, l’ambiente che avrebbe dovuto costituire il luogo di svago e di relax dei week-end e dei periodi di vacanza estivi, a costo di grandi sacrifici  sia economici che fisici. Gradualmente ed inconsapevolmente quel  fazzoletto di terra, giorno dopo giorno è entrato a  far parte della nostra vita quotidiana, soprattutto della “mia”.

Non esistevano più domeniche, festività segnalate dal calendario oppure occasioni mondane che distogliessero l’interesse assoluto, che ormai si era trasformato dentro di me in profonda “passione” per la campagna.

Ogni mattina mi svegliavo felice perché sapevo che in quel piccolo angolo di paradiso, realizzato lentamente e faticosamente con la collaborazione dei miei familiari, mi attendeva la mia carissima cavalla Giulietta, il mio grande sogno della vita, concretizzatosi realmente quanto inaspettatamente, forse per uno scherzo del  destino del quale ancora non conosco la motivazione, per essere accudita da me amorevolmente.

 Non appena aprivo il grande cancello di ferro Giulietta avvertiva la mia presenza e nitriva in cenno di saluto cordiale; quando riusciva, infine, a distinguere la mia figura, nascosta dagli alberi disposti in  due file parallele, nel vialetto che conduceva al paddok cominciava a correre, disegnando cerchi concentrici all’interno del recinto, sollevando sbuffi di polvere dal terreno. Calmava la sua euforia solo quando mi avvicinavo alla mangiatoia con la ciotola di croccante fioccato, a quel punto avvicinava il suo lungo muso sulla mia spalla in attesa di carezze e di coccole che contraccambiava puntualmente fregando il muso lungo il braccio, ricoprendo la mia giacca di una fitta cascata di peli rossastri.

Uno dei momenti più piacevoli, prima di uscire in passeggiata, era costituito dalla pulizia del mantello dai residui di terra e paglia. Durante la strigliatura Giulietta sembrava rilassarsi completamente, lo dimostrava socchiudendo gli occhi e protendendo il collo fino quasi a toccare il pavimento. Quando percepiva il peso della sella sulla sua groppa riprendeva la sua vitalità di sempre. In questa delicata operazione, mi aiutava spesso mio figlio, il quale non ha mai amato i cavalli come me, ma per non contrariarmi, ha imparato, suo malgrado, a cavalcare.

E’ ancora ben  vivido nella mia memoria il  ricordo della nostra ultima uscita per la consueta passeggiata in campagna.

 

La domenica del 19 novembre 1995 mi sveglio di buon mattino, mi affaccio alla porta-finestra della cucina, mio marito e mio figlio stanno ancora dormendo, così mi soffermo ad ascoltare il silenzio.

Fuori il sole illumina i tetti umidi di rugiada delle case moderne della città che fatica a svegliarsi; scorgo in lontananza le scure colline livornesi, avvolte dalla bruma mattutina che, tuttavia, non riesce a nasconderne i contorni bizzarri ed unici che disegnano figure strane nel cielo rischiarato dai primi raggi di sole.

L’aria fredda e pungente penetra nelle mie ossa ancora intorpidite dal sonno; mi stropiccio gli occhi mi stringo nelle spalle, mi sveglio completamente, sorseggiando la mia tazza di caffè caldo e fumante; infine provo un sussulto di gioia: finalmente, dopo venti lunghissimi ed interminabili giorni, posso ritornare a cavalcare la mia dolce ed adorabile cavalla che, a causa di insorgenti motivi familiari, ho dovuto trasferire a pensione da un amico.

Sono euforica, inoltre, perché, per la prima volta nella mia vita, possiedo una sella  stile “monta americana” con relativa bardatura ed oggi la potrò collaudare con  Giulietta.

Velocemente mi lavo, mi infilo i jeans, maglione pesante, husky ed il grande cappello marrone di feltro, targato “Tacchino”, recentemente acquistato a Marlia.

Mentre compio meccanicamente questi movimenti, mi sorge il dubbio di non essere più capace di salire in groppa a Giulietta, dopo diverso tempo di inattività.

Passo a casa dai miei genitori per prendere mio padre.

La strada è libera, non c’è molto traffico perché è sempre presto. In breve giungiamo al nostro appezzamento di terra, ci affrettiamo a liberare la stalla dalle olive di nostra produzione, distese sul telone di cellophane ad asciugare, riempiamo la mangiatoia di fieno e di biada, buttiamo l’acqua sporca del secchio per sostituirla con quella pulita, infine prendiamo lunghina e zuccherini: tutto è pronto. Finalmente giungiamo nel grande appezzamento di terra dove Giulietta soggiorna da un tempo troppo lungo, ma per me interminabile.

Ci incamminiamo, oltrepassiamo il cancelletto di ferro piuttosto malridotto, ci avviciniamo al centro della recinzione, ed eccola là, insieme agli altri quattro cavalli, immobile, davanti alla mangiatoia comune che ci osserva con aria indifferente, distaccata. Mentre le vado incontro, inconsciamente, spero che esterni qualche manifestazione affettuosa nei miei confronti, per lei abituale, come un nitrito o un movimento della testa, invece “ Lei” rimane impietrita al suo posto con lo sguardo fisso verso un altro cavallo, non sembra curarsi di entrambi. Né i richiami né  la vista degli zuccherini la smuovono dalla sua posizione; decido allora di avvicinarmi ulteriormente, riesco a prenderla per la cavezza, non oppone resistenza, infine, ci segue verso l’uscita. Percorriamo il tratto di strada sterrata che conduce alla nostra proprietà senza particolari difficoltà. I problemi cominciano quando la facciamo entrare nel paddock. Pur dimostrando di riconoscere l’ambiente dove ha vissuto per l’intera estate, Giulietta mostra segni di nervosismo e di inquietudine: corre improvvisamente, si ferma, nitrisce ripetutamente, rivolge lo sguardo verso la strada da dove è venuta, sperando forse di scorgere i suoi compagni appena lasciati, infine comincia a saltare e a calciare mostrando tutto il proprio disappunto per ciò che le è capitato. Il suo comportamento mi ha fatto riflettere e mi ha fatto comprendere quanto le manchi la presenza dei suoi simili e che, pertanto, è troppo difficile per lei adattarsi di nuovo ed in breve tempo a stare nel recinto da sola. Sembrava terrorizzata dalla solitudine.

Decido così di lasciarla correre e di farla sfogare un po’ sperando di  tranquillizzarla. Mentre la osservo passeggiare nervosamente da una parte all’altra del recinto, molti pensieri mi affollano la mente, ma fra tutti prevale la consapevolezza di aver fallito nei confronti di Giulietta. Se le avessi voluto tutto quel bene che ho sempre ostentato nei suoi confronti non avrei mai dovuto abbandonarla e permetterle di affezionarsi ad altro padrone. Sembrava essersi dimenticata completamente di me, delle bellissime giornate trascorse insieme, passeggiando e galoppando per le bianche strade della campagna ascianese! Possibile che sia  finito tutto così? Questa constatazione mi lascia l’amaro in bocca. Per tentare di rendere la situazione meno tragica di quello che è in realtà e per evitare di scadere nel ridicolo, cerco di riflettere pacatamente per convincermi che ho esagerato nel valutare il mio rapporto affettivo con Giulietta: un cavallo non può provare sentimenti come le persone e soprattutto non può esternarli e contraccambiarli, mi sono illusa        che questo animale potesse volermi bene come un familiare e mi sono sbagliata.

Mentre questi pensieri mi turbinano in testa, mi accorgo che il tempo a disposizione è poco, perciò prendo finimenti e sella ed in pochi minuti sono a cavallo.

Mi avvio nel grande campo delimitato da due bellissime file di olivi, la cavalla comincia a galoppare con entusiasmo, percorriamo la pista una, due, tre volte e continua a galoppare in maniera sfrenata come dovesse esternare tutta l’eccitazione ed il nervosismo repressi.

Inizialmente sono felice perché galoppando, provo le stesse vecchie emozioni delle trascorse passeggiate estive, ma dopo svariati giri di corsa mi accorgo che sto cavalcando una cavalla diversa, nevrile che non risponde più docilmente ai comandi, come una volta, non riconosco più la mia cara e dolce Giulietta.

Mi rendo conto, quindi, che sarebbe inutile e rischioso portarla a fare una passeggiata fuori dalla pista, perché sono sicura che non sarebbe affatto piacevole e rilassante come le altre volte; quindi, poiché è molto sudata, cerco di farla camminare, in modo che si asciughi il sudore e si calmi un po’. Cammina nervosamente, il pelo è ancora ammazzettato dal sudore allora decido di portarla nel box  perché ho paura che l’aria fredda le possa procurare una bronchite. Mi affretto, insieme a mio padre ad asciugarla con lo spirito e gli stracci, infine la riportiamo nella sua nuova dimora, insieme agli altri cavalli.

Non avrei mai immaginato che oggi sarebbe stato l’ultimo giorno che avrei cavalcato la mia prima cavalla. Il 20 novembre, Giulietta stata colpita da una paresi. Il veterinario sostiene che non ritornerà più come una volta perciò dovrò venderla per non assistere al momento del suo abbattimento.

In questi giorni ho sofferto moltissimo, come se fosse venuta a mancare una persona molto cara che ha occupato uno spazio importantissimo nel mio cuore. Mai avrei creduto che il più bel sogno della mia vita sarebbe durato solo sei brevissimi mesi…..

 

In quel momento mai avrei potuto pensare di possedere altri cavalli.

Invece Giulietta è stato l’inizio dei migliori anni della mia vita, poiché dal quel momento ho cominciato ad acquistare altri cavalli con i quali ho trascorso momenti indimenticabili che ancora oggi rimpiango moltissimo. Attualmente non ho più la possibilità di vivere accanto a  queste splendide creature, che ringrazio affettuosamente poichè mi hanno permesso di sognare e di vivere pienamente la vita, facendomi emozionare profondamente ogni giorno, aiutandomi a superare le opprimenti difficoltà della quotidianità.

 

Oggi continuo a sognare poiché “….Senza sogni l’anima muore………”

 

3° Premio al Concorso Letterario Internazionale Città di New York 13 Ottobre 2009

 

 

30-10-06 2200



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  • Cristina Coletta
  •  Insegno nella scuola primaria da diversi anni, amo leggere, scrivere racconti e poesie, viaggiare ma .......i cavalli sono la mia vera passione!
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